di Daria Lottarini e Maria Rita Pontini

Se non ora quando?”. Era questo l’invito posto dalle organizzatrici della grande manifestazione del 13 febbraio, che ha portato in piazza quasi un milione di donne e uomini a Roma e nelle altre piazze d’Italia. Ed è proprio questa domanda, che ha risvegliato in noi la necessità di manifestare non solo il dissenso, ma anche il disgusto verso le ultime vicende della politica e che ci ha spinto domenica mattina, ad alzarci presto e partire per Roma.

Di motivi per scendere in piazza in questi anni, il Presidente del Consiglio ce ne ha offerti molti: alcuni fatti del passato (leggi ad personam, appalti della protezione civile, corrotti, corruttori ecc…) sono anche più gravi delle ultime note vicende. Ma il quadro indegno raccontato dai mezzi di informazione e la parte che recitano le donne in questo triste spettacolo da bordello, ha fatto traboccare un vaso già colmo e restare in silenzio, senza mostrare la nostra indignazione, non era più possibile.

A Roma, è stato bello scoprire che esiste un’Italia diversa da quella raccontata dai giornali, fatta di donne normali, che ogni giorno affrontano le fatiche della vita senza scorciatoie, che raccontano storie di precariato, di maternità negata, di violenze subite, di soffitti di cristallo, che impediscono l’accesso a posizioni di responsabilità e che fanno da contr’altare all’idea espressa dal giornalista Ostellino che la donna “sia seduta sulla  propria fortuna”.

Non ci sono sembrate storie da moralisti quelle raccontate dal palco da Giulia Bongiorno, Susanna Camusso, suor Eugenia Bonetti e le altre e gli interventi nel blog di donne comuni come chi scrive: ”Sono qui perchè ho tre figli in tre scuole diverse, un marito che ha orari diversi, i supermercati che chiudono quando esco dall’ufficio, ma a nessuno importa niente”. Ci rendiamo conto che non è un caso se a dare vita a questo movimento siano state le donne, quelle che in prima persona vivono lo scollamento tra la realtà quotidiana e quella raccontata dai media.

Sono quasi le cinque quando le voci dal palco ci salutano, la piazza si svuota, lentamente e noi torniamo verso la stazione, convinte che “adesso” è il momento.