di Paolo Scattoni

Il dibattito lanciato su Chiusinews sull’opportunità di “festeggiare” una ricorrenza “americana” come Halloween mi ha riportato alla mente un’abitudine ancora in auge dalle nostre parti chiamata “la mortesecca” mezzo secolo fa. I bambini prendevano una zucca la svuotavano, aprivano le fessure degli occhi e della bocca, vi mettevano una candela e la lasciavano fuori durante la notte.

Ho trovato un articolo sull’argomento (Luisa Vertova, “La Morte Secca”, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 1992).


Riporto alcuni passaggi che mi sembrano interessanti:

La Morte Secca- o più semplicemente mortesecca- è inequivocabilmente fiorentina. Per chi è cresciuto a contatto con una Firenze antica e genuina che sta rapidamente scomparendo (ma forse risorgerà dalle sue ceneri) quella parola ha un sapore burlesco e confidenziale. La morte è di casa ovunque, è sempre dietro l’angolo, è sempre con noi. Tanto vale trattarla come una persona di famiglia, come un’insopportbile, ma inevitabile vecchia zia: superiamone le costanti minacce, la paura che infonde, beffeggiandola. Questa è la spiegazione psicologica del termine che è familiare, buffonesco (…).

La ‘mortesecca’ è ignorata dai principali dizionari in quanto legata al linguaggio parlato e non a quello letterario”

e più oltre

Inoltre da quasi mezzo secolo anche in Toscana, efficienza e benessere hanno bandito ogni forma di lutto, seguendo l’andazzo dei paesi più industrializzati. E soltanto adesso quei paesi cominciano a indagare, e rivalutare, i tanti riti funebri del passato (…)”

e anche

(Non) ci sorprende che a Volterra si offrano biscotti detti ‘ossicini dei morti’ (…)”

Se queste è la nostra storia, forse non sarebbe male che uno studioso o anche più semplicemente uno studente di antropologia culturale ci possa offrire una ricerca sulla “mortesecca” delle nostre parti perché alla fine si celebri una nostra tradizione e non modi superficiali importati da film e telefilm americani