di Luciano Fiorani

Era diventata la festa delle merci. Da tanti anni il Natale veniva atteso solo per scambiarsi regali (in gran parte inutili). Quest’anno mi è sembrato non solo meno sfavillante ma soprattutto più intimo. Quello che non poterono la cultura e il buon senso l’ha ottenuto una crisi che ha decurtato la capacità di spesa della gran parte delle famiglie italiane. Anche a Chiusi non si è ripetuta l’orgia degli acquisti. A Chiusi città anche nei giorni della vigilia, nei pochi negozi rimasti, non c’è stata la ressa e allo scalo solo il 24 c’è stata l’invasione delle auto e del regalino last minute, ma di gente “carica” di pacchi se n’è vista ben poca. E i commercianti? Quelli più avveduti non si sono caricati di un magazzino improbabile da smerciare.

Ma il Natale, si sa, è la festa dei bambini e se uno strappo è stato fatto è proprio per loro senza ripetere, però, (salvo le solite deleterie eccezioni) le vistose pacchianate degli anni passati. Anche le chiese più piene hanno contribuito a ridare, almeno in apparenza, un senso un po’ più spirituale a questa festa. E quello che maggiormente conforta è che si fa strada la consapevolezza che si può fare con meno. E’ ovvio che se il comportamento più sobrio è frutto di una scelta consapevole è un conto, altro discorso è se il tirare la cinghia è imposto dalla perdita di reddito. E purtroppo sono sempre più le famiglie anche nella nostra città che fanno fatica a tirare avanti e il superfluo non sanno più cos’è da un bel pezzo. E allora un Natale più sobrio è in certo qual modo anche un modo di rispetto per chi, già in difficoltà, vive queste ricorrenze con accresciuta pena. Insomma quest’anno ho visto scambiarsi più gesti d’affetto che pacchi vistosi e mi è parso un piccolo segnale nella direzione giusta: più valore ai rapporti umani e meno alle merci.