di Luciano Fiorani

Chiude domenica a Parigi, col tradizionale carosello degli Champs Elysees, una delle più noiose e insignificanti edizioni del Tour de France degli ulimi anni. Certo, non siamo ai livelli di quella assegnata a tavolino a Pereiro Sio nel 2006, dopo la squalifica postuma di Landis, ma il testa a testa tra Schlek e Contador non ha avuto, e non poteva avere, nulla di epico . La più importante gara ciclistica del mondo, malata ormai di gigantismo e terrorizzata dal doping, non riesce più a fornire quello spettacolo che nel secolo scorso infiammava gli animi di milioni di spettatori. La resa di Armstrong, il flop dei nostri (Basso e Cunego, in primis) e un modo di correre scontato e sparagnino hanno senza dubbio contribuito a farne scemare l’interesse non solo da noi. Resta il dato che senza i grandi interpreti e le imprese coraggiose, uno sport che della fatica ha fatto il suo blasone, attira sempre meno. I campioni che oggi il ciclismo può proporci si chiamano Contador, Schlek, Menchov, Sanchez e Van Den Broeck; hanno la faccia da impiegati di banca e corrono da ragionieri. Deriva inevitabile per un grande sport professionistico gestito, come quasi tutti gli altri, da gente senza idee ma con insaziabili appetiti.

Investito dall’uragano doping, perduta ogni credibilità, il ciclismo non ha saputo risollevarsi e oggi porta ormai in giro per le strade solo una sbiadita immagine di sé. A nulla è servito sacrificare con viltà gli ultimi grandi corridori. Ieri sono stati colpiti Pantani e Ullrich, e oggi gli avvoltoi hanno cominciato a girare sulla testa del re dei re del Tour: Lance Armstrong. L’americano, ormai vecchio e battuto sulla strada, irriso dai colleghi più giovani sembra pronto per l’altare sacrificale.

Greg Lemond, il primo americano in giallo a Parigi, vincitore di tre Tour, diversi anni fa dichiarò: “I primi cinquanta della classifica generale erano tutti dopati, io compreso naturalmente!”. Tutti sanno che perfino tra i cicloamatori la borraccia con “l’aiutino” è, tutt’ora, sempre a portata di mano. Ma dal caso Festina in poi abbiamo assistito solo ad una strombazzata campagna antidoping portata avanti con regole astruse e che ha saputo solo colpire a casaccio. E allora, le dirette integrali delle tappe, le spettacolari riprese televisive e le lggendarie montagne pirenaiche come il Tourmalet ormai, non bastano più. Uno sport fatto sempre più di titanio e maltodestrine, con l’epo (di seconda o terza generazione) sempre in agguato dietro l’angolo, ma senza più interpreti credibili e coraggiosi è destinato solo a replicarsi stancamente senza più essere capace di regalare emozioni. Un po’ come la boxe, o  il motociclismo costretto a richiamare in tutta fretta un Valentino Rossi con le ossa rotte perchè l’audience sprofondava ad ogni gran premio.