di Claudio Provvedi

Sono rimasto stupefatto dal gran numero di partecipanti al corso di lingua ebraica tenuto a Chiusi, nelle sale dell’ episcopio, tutti i venerdì dal professor David Micheletti. La cosa è tanto più significativa quanto più è marginale una realtà come la nostra nel panorama culturale e ecclesiale. Studiare una lingua è come entrare nella “mente di un popolo”, nella sua cultura, nel suo modo di guardare il mondo e Dio. Il 17 gennaio la Chiesa cattolica ha celebrato la giornata per il dialogo ebraico- cristiano. Seguirà la settimana di preghiera per l’ unità dei cristiani. Non vedo purtroppo nelle nostre parrocchie e nei gruppi ecclesiali una particolare attenzione ai problemi ecumenici connessi al dialogo ebraico-cristiano. Come sempre il rischio è di accontentarsi di celebrare un rito, magari di curarne meglio gli aspetti esteriori o la compunzione interiore e personale. Raramente ci si domanda che cosa significa per la propria vita concreta o per la vita civile e politica iniziare un reale cammino di unità dopo secoli di conflitti e sbudellamenti reciproci.

Eppure Gesù  ha parlato molto chiaramente: Il mondo crederà se vi vedrà uniti, se darete i segni dell’ amore reciproco. Erano discorsi di un ebreo rivolti ad un gruppo di ebrei che avrebbe dovuto essere testimone dell’ amore del Padre per tutti gli uomini, secondo la promessa fatta ad Abramo, il primo ebreo. E questo cominciando da Gerusalemme, città ebrea, fino agli estremi confini della terra. Si doveva testimoniare che Il Padre era una cosa sola con Gesù. Si capì subito che Gesù era Dio, fece molto più problema ammettere che era un uomo. Era un uomo di fede ebrea, nutriva le stesse speranze del suo popolo, pregava da ebreo, leggeva le Scritture  ebree, era sottomesso alle leggi ebraiche, ragionava e si esprimeva da ebreo del suo tempo. Questo è tanto vero che anche un ebreo di oggi non ha grosse difficoltà a sottoscrivere tutto quello che Gesù ha detto e insegnato negli anni della sua vita pubblica. In fondo condivideva tutte le idee dei farisei, salvo l’ ipocrisia. Nell’ Impero, di cultura greca, non fece tanto problema professare la fede “in Gesù”, si trascurò di guardare anche alla fede “di Gesù”.  

 Poi sono venuti i tempi in cui si credeva che la salvezza dipendesse dall’ aderire all’ esatta formulazione dei dogmi della fede. Ragionando in greco e in latino si è pensato la Verità come una nozione, mentre Gesù, da vero ebreo, ci invitava a viverla come una relazione con il Padre. Se la Verità è solo una nozione, un’ idea chiara e distinta, la si può anche possedere. Chi la possiede è centro e garanzia di Verità. Tante Chiese separate, tanti centri. Ciascuna pensante se stessa come il centro della fede cristiana. Da qui le scomuniche reciproche, gli sbudellamenti, le guerre di religione. Il mondo ha cominciato a dubitare dei “portatori di verità”, come ama dire giustamente il mio amico Francesco Storelli. Se i cristiani ricominciassero a guardare all’ umanità ebraica di Gesù, al suo modo di pregare, di polemizzare, di inveire, scoprirebbero tante cose per loro strane ma normali per un ebreo. Scoprirebbero che con Dio si può discutere e si può anche non essere d’ accordo, che ci si può litigare e gli si può far cambiare idea. Scoprirebbero che Dio ha dei punti deboli e che non resiste alle preghiere dei poveri! Che quando questi sono umiliati, Lui soffre le pene dell’ inferno! La Bibbia e l’antica letteratura ebraica ci mostrano questo Dio. I cristiani di mentalità greca, per diciotto secoli hanno predicato perlopiù un Dio impassibile, immutabile, onnipotente…  

Non voglio negare la teologia o le teologie dei secoli successivi, Luterana, Tomista o neoscolastica che sia, la teologia è importante, voglio solo dire che più importanti sono le teologie di Marco, di Luca, di Paolo di Matteo e di Giovanni. Tutti ebrei, autori di teologie “narranti”. Le narrazioni lasciano l’ interlocutore libero di interpretare. Mettono punti fermi ma non sistematizzano. Non diventano ideologia! Il nome di Gesù è stato per gli ebrei una spina nella carne per millenovecento anni, causa di sofferenze e discriminazioni, ma anche gli ebrei per noi cristiani sono stati un tormento, un interrogativo scandaloso: perchè Dio perpetuava il miracolo della loro sussistenza come popolo? Perchè non venivano assimilati come gli altri popoli antichi? Cosa hanno da dire a noi cristiani?  Dopo Auschvitz e dopo il ritorno degli ebrei in Israele la questione ebraica è diventata ineludibile. Il centro della storia e della geografia politica della salvezza torna a essere Gerusalemme, non Mosca, non Bisanzio, non Augsburg e nemmeno Roma. Più le Chiese ameranno e cammineranno verso questo “centro”, più si ritroveranno vicine fra loro.