di Giorgio Cioncoloni

Ogni volta che qualcuno, tra cui anche io, da questo blog o in altre occasioni pubbliche, ha criticato l’operato del Pd, si è levata, indignata, la voce di qualche dirigente o, ultimamente, di qualche anonimo militante, che ha giudicato le nostre critiche attacchi ingiustificati o indebite intromissioni piene di acredine. Addirittura tali critiche sono state considerate strumentali per appoggiare i “conservatori” a discapito dei “rinnovatori”, dimostrando di non avere ben chiaro il significato dei due termini, oppure non conoscendo affatto ciò che è successo negli ultimi anni all’interno del partito locale, forse perché condizionati dalle campagne propagandistiche, tendenti a promuovere, in puro stile berlusconiano, una falsa realtà.

Spesso poi si è detto che il gruppo dirigente andava lasciato lavorare perché stava solamente svolgendo il proprio compito. Oppure che i ritardi erano il frutto di un normale percorso democratico di dialettica interna, che presto avrebbe raggiunto una sintesi unitaria ed avrebbe permesso di presentare una candidatura condivisa, per poi passare alla preparazione di un programma partecipato attraverso i famosi “forum” tematici di cui si è persa ogni traccia. Prima ancora era stata promossa l’altrettanto famosa “campagna di ascolto”, che doveva costituire la base per le proposte future ed i cui risultati sono stati presto accantonati perché non in linea con la propaganda fatta, dimostrazione che qualcuno ancora riesce a ragionare con la propria testa in base a quello che vede e non a quello che gli viene detto.

Ebbene, dopo cotante dichiarazioni difensive, oggi ci troviamo a constatare che, anche all’interno del Pd, c’è chi si è stancato dei tempi del “normale” percorso dialettico e si è deciso a rompere l’omertà facendo dichiarazioni pubbliche e dimostrando così che quel percorso e quei metodi, da noi criticati, tanto “normali” poi non erano. Mi riferisco all’intervento dell’assessore Scaramelli, al cosiddetto “documento dei 16” e, precedentemente, all’esternazione di Nasorri. Questo dimostra che tutti, sia “conservatori” che “rinnovatori”, veri o presunti, si sono alla fine trovati d’accordo, almeno in parte, con le nostre critiche che non erano né fatte con acredine, né tendenti ad appoggiare questa o quella corrente, ma avevano il solo scopo di cercare di avere il tempo per dare un contributo “attivo” alla scelta del futuro governo del “nostro” paese. Sì perché Chiusi non è di proprietà degli iscritti al Pd, ma è di tutti i cittadini che pertanto dovrebbero avere il diritto di essere sentiti su un tema che li riguarda direttamente, prima che le decisioni siano maturate definitivamente, perché le cose che hanno da dire potrebbero riuscire a modificare alcune scelte sbagliate che condizionerebbero il futuro sviluppo di Chiusi.

Una classe dirigente responsabile e intellettualmente libera dovrebbe apprezzare e stimolare la voglia di partecipare “attivamente”. Purtroppo nel nostro caso non è stato così altrimenti le procedure interne sarebbero terminate da un pezzo e oggi si potrebbe discutere tranquillamente del nostro futuro, salvo poi accettare che le decisioni è giusto che vengano prese da chi ne è deputato dalle norme democratiche. Chi fa parte del Pd dovrebbe sapere che il partito è nato proprio per favorire la partecipazione “attiva”. E’ scritto nello statuto, è scritto in tutti gli atti che hanno preparato la sua costituzione, lo hanno affermato tutti i maggiori leader che si sono succeduti. Proprio questa collaborazione tra dirigenti, iscritti ed elettori, effettivi e potenziali, doveva costituire l’elemento vitale per acquisire quel consenso che doveva servire per cambiare le sorti politiche dell’Italia e vincere definitivamente il berlusconismo. Questo progetto è fallito perché chi ha diretto il partito, a tutti i livelli, non ha, per volontà o per incapacità, saputo attuare lo spirito fondativo ed i consensi, anziché aumentare, sono diminuiti e si sono trasformati per lo più in astensioni.

 Basta seguire un po’ la politica nazionale per leggere continuamente dichiarazioni in questo senso:
il Pd ha bisogno di una svolta vera. Il partito deve superare l’inaccettabile personalizzazione cui sembra essersi ridotta la sua iniziativa politica, le rivalità fra capi e capetti animati da ambizioni che non hanno niente a che vedere con il bene comune, e recuperare, partendo dal basso, una rappresentanza reale degli interessi e dei gruppi sociali del paese. Cioè rifare politica uscendo dallo schema imposto da Berlusconi.” (Enrico Rossi – Presidente della regione toscana).

Deluso da un modo di concepire la politica che penalizza le idee ed i territori e non mette a frutto la disponibilità a collaborare di chi vorrebbe farlo” (Nicola Rossi – Senatore dimissionario del Pd).
Questi sono solo i più recenti di una miriade di interventi autorevoli, tendenti non a distruggere ma a cercare di costruire finalmente quel partito plurale, moderno e partecipativo in cui tutti avevamo sperato nel momento della sua nascita. E ormai sono quasi tutti concordi nel ritenere che tale costruzione deve avvenire dal basso, nelle realtà locali, che sono quelle che, attraverso la partecipazione alla risoluzione dei problemi quotidiani, possono promuovere l’aggregazione anche sui temi nazionali. Allora che cosa stiamo aspettando?