di Luciano Fiorani 

E venne il gran giorno del “questionario”. L’appuntamento a cui il Pd ha lavorato in tutti questi mesi e che, alla resa dei conti, ha fatto “chiarezza” sugli obbiettivi, i tempi e i modi del partito democratico in questa campagna elettorale. Un partito che ha schierato in platea tutto il gruppo dirigente ma che è apparso bloccato e incerto, ma soprattutto sordo a quanto nella società si sta muovendo. Persino restio a parlare di elezioni. Ci sono voluti alcuni interventi (Provvedi, Scattoni, Luca Scaramelli, Cioncoloni e Benicchi) per allargare il discorso ai temi elettorali accuratamente evitati da Giglioni nella presentazioni dei dati emersi dal questionario.

Insomma sembrava quasi di essere capitati in una astratta discussione socioculturale più che in un appuntamento politico cruciale, in cui si sarebbe certo dovuto fare il punto sui giudizi di chi aveva risposto alle domande del questionario, per poi però calarli nella campagna elettorale. E invece, dopo aver appreso che l’analisi del questionario aveva fatto emergre delle questioni e dei giudizi ben poco lusinghieri per l’amministrazione uscente, abbiamo dovuto aspettare i primi interventi per scoprire che: le primarie non è detto che si faranno, i candidati ancora non ci sarebbero (e Ciarini e Scaramelli?), il programma elettorale è ancora tutto da scrivere e le consultazioni con gli altri partiti non sono ancora neppure iniziate. Insomma una manifestazione di confusione e di pressappochismo da lasciare sconcertati. L’unico intervento che ha provato a raddrizzare una serata storta è parso quello di Massimo Giulio Benicchi che ha (finalmente!) fatto i nomi dei candidati in pectore e che ha provato ad indicare un percorso ragionevole per arrivare in tempi certi a definire la questione delle candidature, delle primarie e delle proposte di programma. Perchè alla fine è emerso che il tempo stringe e se ne è buttato via già abbastanza.

Era presente anche l’assessore regionale, ma come al solito, si è guardato bene dal proferir parola. E di motivi ce ne sarebbero stati a sfare. Perchè dal questionario sono emersi giudizi non proprio entusiastici su questa amministarzione, tanto che solo un misero 10% si augura che la prossima ricalchi le orme di quella attuale. Giudizio molto critico (con punte del 36%) anche per quanto riguarda la partecipazione e il rapporto con i cittadini, per non parlare di un vero e proprio plebiscito, oltre il 70%, sulle peggiori condizioni economiche di Chiusi. Ma, si sa, il prendere posizione pubblicamente non è mai stato il forte di Ceccobao.

L’altro dato significativo emerso dall’ascolto di iscritti e simpatizzanti è che solo l’uno virgola si è dichiarato interessato o favorevole allo sviluppo di politiche inclusive verso gli immigrati. Un altro bel riscontro per un partito che si dice dell’accoglienza e della solidarietà!  

Come sempre avviene nelle assemblee bloccate e composte prevalentemente da addetti ai lavori, e stasera di cittadini normali senza un qualche incarico politico ce ne erano davvero pochi, la discussione vera e propria si è sviluppata una volta finita la cerimonia e spente le luci; fuori dal teatro, per le vie del paese e in piazza del comune. E lì, si è potuto ascoltare quello di cui parlano i chiusini: candidature, alleanze, assemblee autoconvocate, liste civiche e punti di programma qualificanti. Ogni manifestazione della politica ormai sembra studiata apposta per confermare lo stato miserevole in cui è precipitata. E’ evidente che certi cerimoniali, come hanno commentato in tanti e su cui si sono dichiarati d’accordo anche autorevoli esponenti del Pd, non hanno più senso. Perchè la partecipazione e la discussione sui problemi della città sono una cosa seria, ma se ci si deve riunire, senza poter affrontare le questioni importanti, forse non hanno tutti i torti quelli che pensano sia meglio impiegare il proprio tempo in faccende più piacevoli. Questo, purtroppo, è lo stato dell’arte.