di Luciano Fiorani

Falk Renè Hagen è un nome che a Chiusi conoscono in pochi. Ma se a quel nome colleghiamo l’immagine  di un gracile straccione tedesco, spesso ubriaco, che accompagnato da un cane rassegnato e spelacchiato faceva la spola tra la stazione e la Coop, dove era solito chiedere l’elemosina, in molti capiranno di chi si parla.  Il tedesco è tornato a casa sua curato, pulito e rivestito. Il piccolo miracolo è opera di un gruppo di cattolici che  opera a Chiusi  da circa due anni. Persone che hanno fatto dell’aiuto agli emarginati la propria ragion d’essere  e si chiamano fraternità “Prima familiaris consortio Falk Renè Hagen”, proprio in onore del primo salvato.  Il nocciolo duro  è costituito da una ventina di persone,  ma sono un centinaio quelle che contribuiscono (magari solo con piccole donazioni in denaro) a quest’opera meritoria. Altri aiuti, sempre in denaro, sono arrivati dal Vescovo, dalla Banca Valdichiana e dai comuni di Chiusi e Cetona.

Oggi sono cinque le persone disastrate (due donne e tre uomini) con cui spartiscono il pane. Perchè proprio di questo si tratta, e non della ben nota carità. Che con gli ultimi si debba avere un rapporto davvero straordinario è facile a dirsi, accoglierli in casa e sedersi alla stessa mensa è sicuramente una testimonianza non comune. Hanno messo a disposizione di queste cinque persone due alloggi dignitosi (uno allo scalo e uno a Chiusi città) in cui vanno anche altri poveri, magari solo per fare una doccia o una lavatrice; appartamenti civili insomma, che garantiscono una stabilità abitativa.  E ogni venerdì si ritrovano numerosi, nell’alloggio di via Montegrappa, per consumare insieme la cena. Un approccio originale, convinti che debbano essere le necessità di chi ha bisogno a determinare le scelte operative. Perchè se fornire un tetto sicuro, un letto pulito ed un piatto di pasta a chi non potrebbe permetterseli è indubbiamente molto, condividerne anche momenti di vita è davvero considerarlo nostro fratello per favorirne il reinserimento nella società. Sembrano scelte estreme ma, Claudio Provvedi, uno degli animatori della “fraternità”, non riconduce solo alla fede questo modo di fare. C’è, sostiene, chi si sente gratificato nel veder crescere  bene una pianta di fiori o un animale di cui si prende cura, vuoi metter la soddisfazione nel vedere rinascere un essere umano?  E’ difficile dargli torto. E, anche per chi ha poca dimestichezza con le faccende di chiesa,  è evidente che si tratta, in ogni caso,  di una testimonianza di grande umanità.